Sembrava una mattina come le altre. Sembrava, così non fu. Era il 6 giugno di dieci anni fa. Il tenente dei carabinieri Marco Pittoni si trova in riunione nell’ufficio postale di Corso Ettore Padovano a Pagani. Fa irruzione una banda di rapinatori, Pittoni intima ai malviventi di arrendersi. In un attimo gli spari, le grida, il sangue. Il tenente viene colpito alla gola e all’addome. Muore poco dopo all’ospedale di Nocera. Il dolore muove un’irrefrenabile macchina di ricerca, i colleghi di Marco della tenenza di Pagani, della compagnia di Nocera Inferiore, dei comandi provinciali di Napoli e di Salerno mettono sotto assedio due province, coordinati dal pm Amedeo Sessa che con Pittoni aveva lavorato fianco a fianco. Fino a sbarcare a Torre Annunziata. La città resta sotto assedio per ore. I quartieri del Parco Penniniello, di Palazzo Fienga ed il “quadrilatero delle carceri” a Torre Annunziata ma anche il Piano Napoli di Boscoreale – tutte roccaforti dei clan della zona – vengono passati al setaccio dai militari, con perquisizioni per blocchi di edifici e posti di blocco no stop.  Non avevano dubbi gli investigatori: era dal vesuviano che si erano mossi gli assassini. E nel giorno del saluto al loro compagno, in una basilica stracolma di cittadini ed istituzioni, si arriva al volto e al nome dei componenti della banda: trentasei ore dopo l’omicidio, finiscono in manette – a distanza di qualche ora l’uno dall’altro –  i responsabili dell´esecuzione del tenente Pittoni. Tra loro un minorenne, un 17enne figlio di un noto boss della camorra di Torre Annunziata, che braccato dai militari si consegna accompagnato dalla madre. E’ lui ad essere accusato di avere esploso il colpo fata­le. Al momento degli arresti la tensione si trasforma in lacrime liberatorie con l’applauso dei colleghi di Marco all’arrivo di alcuni componenti della banda al comando gruppo di Torre Annunziata. Impossibile anche per noi cronisti dimenticare quelle ore. Dimenticare la grinta, la tenacia, di chi non ha arretrato un attimo il passo per riuscire a consegnare prima possibile gli assassini di Marco nelle mani della giustizia. Impossibile dimenticare lo sguardo di amici, più che di colleghi del carabiniere buono. Ricordiamo come se fosse ieri, gli occhi del tenente Erich Fasolino. Rossi. Un rosso sintomo di dolore, di notti insonni, di rabbia. E rabbia era palpabile anche tra la gente. All’arrivo, a sirene spiegate a Pagani, delle auto con all’interno alcuni degli assassini di Marco, si sentono urla di rancore. Rancore che si trasforma in un lungo, commosso, applauso. Giustizia era stata fatta.

Filomena Sale

L’arrivo delle auto alla tenenza di Pagani: 

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