Da operaio disoccupato ad ‘ambasciatore’ della pizza napoletana in Germania. Come? Investendo in ‘passione’ e rispettando le regole. E’ la storia di Carmine D’Elia, 45 anni, campano di Cava dé Tirreni (Salerno), che a Kaufbeuren, città ad una novantina di chilometri da Monaco di Baviera, gestisce la ‘Pergola’, in società con una famiglia tedesca, un locale che espone bene in vista il marchio dell’Avpn, l’Associazione verace pizza napoletana che ha celebrato a Napoli la Convention annuale. "Sono l’unico in Germania ad essere associato all’Avpn, cosa che mi carica di un’enorme responsabilità" dice Carmine da 18 anni in quel Paese.    Pizzaiolo per necessità più che per scelta? "All’inizio sì, ma poi sono stato… travolto dalla passione. A 22 anni persi il lavoro che avevo in uno scatolificio per l’industria conserviera di San Marzano sul Sarno – spiega emozionato – e mia madre, conosciuta da tutti come ‘Nannina ‘a pizzaiolà, mi rifece le ‘lezioni’ che mi aveva già impartito quando terminai il servizio militare. Piuttosto che elemosinare un posto, mi impegnai nella nuova avventura". Tappa a Cremona dalla sorella che aveva un ristorante e poi fine del viaggio in Germania dove gli fu offerta l’opportunità di lavorare in una trattoria gestita da tedeschi. Cinque anni di esperienza come pizzaiolo dipendente ma una perplessità di fondo: "Nulla a che vedere con la cucina italiana, con la pizza".    Che fare? "La svolta avvenne quando avviai i primi contatti con l’Associazione verace pizza napoletana e col suo presidente Antonio Pace dopo aver letto un articolo che lo riguardava" afferma il piazzaiolo. Forno a legna, ingredienti adeguati, tecnica anch’essa idonea anche per usufruire del marchio collettivo: con i requisiti di base richiesti dall’Avpn comincia una nuova fase nella sua vita. "All’inizio la gente non capiva, non apprezzava quel prodotto abituata com’era a ciò che si otteneva con i forni elettrici – racconta – quella pizza ‘alta’, artigianale, lavorata a mano proprio non andava giù. Poi, dopo lunghe battaglie e delusioni, i clienti cominciano ad apprezzare". Una storia di successo. "Direi un cammino di costanza, certo di successo. Amo questo lavoro, l’ho sposato, letteralmente: serve passione e rispetto".    Acqua, farina, lievito, pomodoro, mozzarella di bufala o fior di latte, olio: il mix è questo. Ma basta, anche se alcuni di questi elementi arrivano direttamente dalla Campania? "No, non basta" dice Carmine, "occorre quel qualcosa in più che vuol dire qualità e amore altrimenti parliamo d’altro". "Vivo nel piano soprastante il ristorante-pizzeria, come diciamo dalle nostre parti ‘casa e puteca’" (casa e bottega), aggiunge sorridendo. E ora si gode la sfida quotidiana con una clientela esigente e di livello che non bada a spese pur di gustare il prodotto tricolore. "L’identità di un popolo si riconosce anche da quello che mangia – conclude – chissà che, nel mio piccolo, non abbia contribuito all’estero all’identità italiana". 

fonte ansa

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